mercoledì 28 febbraio 2018

Il famoso capitano Ultimo rinuncia al titolo di cavaliere

Ultimo, nome in codice del colonnello Sergio De Caprio, è noto soprattutto perché quand'era al vertice del Crimor, mise le manette ai polsi di Totò Riina. Negli anni successivi è finito più volte tra le polemiche. Dalla mancata perquisizione del covo del capo dei capi, Totò Riina, all'inchiesta Consip.
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Forse avrebbe accettato una croce di ferro?



——La Storia della Consip——
-( Il Messaggero) 

Parla ancora, ma questa volta attraverso il suo legale, Sergio De Caprio, l'eroe del 93 finito al centro dell'ultima bufera Consip. Anche se sono state proprio le sue dichiarazioni, tre giorni fa, a costargli l'apertura di un procedimento disciplinare al Comando generale, la volontà di esternazioni per dissipare ogni dubbio rispetto a «paventate minacce alle Istituzioni» cui hanno fatto riferimento «diversi parlamentari», il «ministro della Difesa e infine il premier» è più forte del rischio. Chiede un pubblico confronto, su quelle che definisce «gravissime accuse infondate» per «esercitare i diritti di difesa e di informazione al cittadino». Ma anche questa mossa adesso rischia di tramutarsi in un boomerang.


IL CONFRONTO
A mettere nei guai Ultimo, non è stato tanto il verbale del procuratore di Modena, che lo ha anche definito «esagitato» e «spregiudicato», quanto le dichiarazioni rilasciate alla stampa. Ieri, il colonnello ha rincarato la dose, parlando attraverso il suo avvocato, Francesco Romito. «Vista l'escalation mediatica delle vicende legate all'indagine Consip e alle gravissime accuse infondate rivolte al Capitano Ultimo e ai suoi carabinieri - ha affermato il legale, per conto di De Caprio - riteniamo doveroso renderci disponibili a un pubblico confronto per chiarire dubbi e sospetti». Il colonnello, sempre tramite Romito, ha invocato «un pubblico dibattito dove poter esercitare il diritto di difesa e di informazione mediatico, a prescindere dalle altre iniziative che avranno corso nelle sedi opportune».

IL COMANDO
Dopo un deciso intervento del ministro della Difesa Roberta Pinotti, il Comando generale, che in questi anni ha preferito ignorare le tante esternazioni di Ultimo, non ha avuto scelta. Una violazione così plateale della consegna del silenzio non può passare senza conseguenze. Sarà poi il ministero a valutare le decisioni del Comando. Ad aggravarsi è anche la posizione del maggiore del Noe Gianpaolo Scafarto, già plurindagato e finora non sfiorato da alcun procedimento disciplinare. La frase concessa a un giornalista - «sicuri che io abbia detto arriviamo a Renzi?» - potrebbe costargli cara.

Nei giorni scorsi, commentando le dichiarazioni rese al Csm dal procuratore di Modena, Lucia Musti, Ultimo ha dichiarato: «Non ho mai svolto indagini per motivi politici e mai citato Renzi. È linciaggio mediatico». Ha anche fatto un elenco di politici intervenuti sul caso: «Leggo che illustri esponenti della politica, tra cui ministri Dario Franceschini, Luigi Zanda, Michele Anzaldi, Pino Pisicchio, paventano colpi di stato e azioni eversive da parte del Capitano Ultimo - ha detto il colonnello - L'unico golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica». Quelle dichiarazioni hanno spinto il ministro della Difesa a chiedere all'Arma di «valutarne l'opportunità».









IL COMANDO
Dopo un deciso intervento del ministro della Difesa Roberta Pinotti, il Comando generale, che in questi anni ha preferito ignorare le tante esternazioni di Ultimo, non ha avuto scelta. Una violazione così plateale della consegna del silenzio non può passare senza conseguenze. Sarà poi il ministero a valutare le decisioni del Comando. Ad aggravarsi è anche la posizione del maggiore del Noe Gianpaolo Scafarto, già plurindagato e finora non sfiorato da alcun procedimento disciplinare. La frase concessa a un giornalista - «sicuri che io abbia detto arriviamo a Renzi?» - potrebbe costargli cara.

Nei giorni scorsi, commentando le dichiarazioni rese al Csm dal procuratore di Modena, Lucia Musti, Ultimo ha dichiarato: «Non ho mai svolto indagini per motivi politici e mai citato Renzi. È linciaggio mediatico». Ha anche fatto un elenco di politici intervenuti sul caso: «Leggo che illustri esponenti della politica, tra cui ministri Dario Franceschini, Luigi Zanda, Michele Anzaldi, Pino Pisicchio, paventano colpi di stato e azioni eversive da parte del Capitano Ultimo - ha detto il colonnello - L'unico golpe che vediamo è quello perpetrato contro i cittadini della Repubblica». Quelle dichiarazioni hanno spinto il ministro della Difesa a chiedere all'Arma di «valutarne l'opportunità».

LE ESTERNAZIONI
La Musti aveva raccontato al Csm di quando De Caprio, portandole gli atti dell'inchiesta Cpl Concordia che contenevano l'intercettazione, captata dal Noe, in cui Matteo Renzi, parlando con il generale Michele Adinolfi, definiva l'allora presidente del consiglio Enrico Letta un incapace, aveva commentato: «Ha in mano una bomba, se vuole può farla esplodere». Il colloquio dell'ex premier era poi finito su un giornale. E De Caprio, all'epoca vicecomandante del Noe, era stato sospeso dalle funzioni di polizia giudiziaria e trasferito all'Aise. Tempo dopo, il capitano del Noe, Giampaolo Scafarto, aveva parlato alla Musti - senza autorizzazione - del caso Consip, dicendole: «Arriveremo a Renzi».

E nel luglio del 2017 De Caprio e venti altri elementi a lui vicini sono tornati a disposizione dei carabinieri. Una vicenda mai chiarita sulla quale pesano due versione: da una parte l’intelligence che parla di una “restituzione” all’Arma perché è “venuto meno ilrapporto di fiducia“. Dall’altra ci sono le dichiarazioni degli interessati che definiscono come “autonoma decisione” quella di lasciare i servizi e tornare nei ranghi dell’Arma.



—— la storia di Riina———- ( La Sicilia ) 
Il 15 gennaio 1993, dopo oltre 23 anni di latitanza, Totò Riina, capo di Cosa nostra venne catturato a Palermo dai carabinieri del Ros. Era in auto insieme all’uomo che gli fa da autista, Salvatore Biondino. I militari, guidati dall’allora capitano Sergio de Caprio, nome di battaglia Ultimo, lo fermano alle 8 di mattina a poche centinaia di metri dalla villa in cui con moglie e figli ha trascorso gli ultimi dieci anni.

Il rifugio dove si nascondeva il boss

, una lussuosa villa con piscina in via Bernini 54, immersa in un parco che ospita un complesso residenziale, verrà perquisito soltanto il 2 febbraio del 1993, 18 giorni dopo l’arresto. Nel frattempo gli uomini d’onore riescono ad entrare nella casa, fare sparire quello che c'è dentro ed addirittura imbiancare le pareti.

E’ uno dei tanti misteri legati alla latitanza e alla cattura del capo di Cosa Nostra sfociato in un processo concluso con la piena assoluzione degli imputati: il capitano Sergio De Caprio e il generale Mario Mori, nel '93 vicecomandante del Ros, accusati di avere favorito Cosa nostra. 

Il 15 gennaio, dopo la cattura del padrino di Corleone, i magistrati della procura di Palermo tra cui l’allora aggiunto Vittorio Aliquò, capo dei pm in attesa dell’insediamento di Giancarlo Caselli, il sostituto di turno Luigi Patronaggio ed i vertici dell’Arma si incontrano nella caserma del comando regionale.

Tutto è pronto per la perquisizione del covo, individuato grazie alle indicazioni del pentito Balduccio Di Maggio che, dalle riprese effettuate dal furgone in cui i Ros tenevano d’occhio il residence, il 14 gennaio riconosce la moglie del capomafia, Ninetta Bagarella. Ma all’idea di fare irruzione nella villa si oppone Ultimo: teme che il blitz mandi a monte ulteriori sviluppi investigativi possibili, visto che i boss non sanno che il rifugio di Riina è stato individuato. 

Si arriva ad un accordo. I carabinieri, Ultimo e Mori in testa, ottengono un rinvio della perquisizione. «Subordinato alla prosecuzione dell’osservazione», dirà successivamente Aliquò. Ma Ultimo smentisce di avere assicurato che il servizio si sarebbe protratto, sostenendo di avere parlato ai magistrati di generiche esigenze investigative legate alle indagini sui proprietari del complesso di via Bernini, gli imprenditori Sansone, vicini a Riina.

Il 17 gennaio, due giorni dopo l'arresto del marito, Ninetta Bagarella ed i suoi quattro figli rientrano a Corleone dopo anni di assenza. La notizia viene comunicata al procuratore Aliquò. Il 27 gennaio i filmati, ripresi durante il servizio di osservazione di via Bernini, vengono depositati in Procura. Viene fuori che il Ros ha interrotto le riprese alle 16 del 15 gennaio, il giorno stesso della cattura.

Solo il 30 gennaio, però, i carabinieri avvertono ufficialmente i magistrati che l’attività di controllo del nascondiglio era cessata qualche ora dopo l'arresto